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La Vos dal Fogolâr______________________________________________________________________________________________________________________________
che osserva, il limitato passaggio di cittadini
diretti nel centro di Gemona.
Per contro, sul muro a destra appare la scrit-
ta: “
zum K.u.K Ept. St. Kdo
”, che significa “
per
l’Imperial Regio Comando della Stazione di
tappa
”. La strada che si vede, in leggera sa-
lita, è quella che da Artegna conduce a Ge-
mona.
Mentre la maggior partre dei notabili, dei be-
nestanti e dei liberi professionisti se ne anda-
rono, agli amministrativi restò il dubbio se re-
stare o unirsi ai profughi.
Infatti, restare significava dovere, in qualche
misura, collaborare con gli occupanti: e non
era di certo facile!
Restò il Sindaco Luciano Fantoni con l’Arci-
prete Giacomo Schilizzo ed il Cappellano del-
l’Ospedale, don Giuseppe Fantoni.
Naturalmente, come avvenne negli altri paesi
occupati fu necessario funzionare e far fun-
zionare sotto lo stretto controllo del Comando
Militare, che si sostituì d’autorità alla Prefettu-
ra di Udine, che nel frattempo s’era ricostituita
a Firenze. La bella città toscana, durante tutta
l’occupazione nemica, non solo ospitò – con
Milano – il maggior numero di profughi, ma fu
anche la sede di tutti i comuni friulani in esilio,
i cui rispettivi mandamenti erano retti da com-
missari prefettizi.
Ed a Firenze, infatti, aveva sede il Commissa-
rio Prefettizio di Gemona, avv. Federico Fe-
drigo Perissutti.
Si venne così a creare, a distanza, una chiara
diarchia: a Firenze i commissari prefettizi deli-
beravano per i Comuni friulani, surrogando i
poteri dei rispettivi Consigli e Giunte comunali
che erano formalmente decaduti. Nei territori
occupati, invece, continuavano a funzionare i
Sindaci, Consigli e Giunte d’anteguerra.
In realtà tale sovrapposizione di poteri non
produsse contrasti degni di nota.
Nel caso di Gemona, infatti, Fedrigo Perissutti
si occupò per lo più delle necessità di soprav-
vivenza dei profughi e dei dipendenti comuna-
li, mentre Fantoni cercò di garantire alla popo-
lazione rimasta (circa 8.000 persone, alle qua-
li si aggiunsero poi circa 1.900 profughi) che
le requisizioni – azzerando la produzione
agricola – non la riducessero alla fame.
Non solo, bisognava anche pensare a salvare
il patrimonio artistico e storico di Gemona,
minacciato continuamente da furti d’opere
d’arte e dalle requisizione dei metalli (ad e-
sempio le campane delle chiese).
Il ritorno alla normalità, dopo l’armistizio del 3
novembre 1918, non fu senza sussulti, ma la
voglia di far ripartire la vita dopo l’odiosa oc-
cupazione prevalse su tutto e su tutti.
I Caduti gemonesi furono circa 350.
In guerra furono chiamati alle armi gli uomini
dalla classe 1874 a quella del 1900.
Tutti uomini dell’Ottocento, quindi, meno l’…-
Ottocento Enrico che conosciamo noi!
La immagini e parte dei testi sono stati tratti
da un magnifico calendario del 2014, promos-
so dall’Associazione culturale “PENSEeMA-
RAVEe”, stampato dalle Grafiche Rosso di
Gemona, col notevole contributo delle farma-
cie di Gemona.
La bella cartolina fotografica visibile qui sopra, spedita il 1° febbraio del 1918, ci mostra
piazza Vittorio Emanuele II, con civili e militari austriaci in posa. Sullo sfondo, centralmente,
si nota la farmacia “
Alla Madonna
” ed alla sinistra l’albergo “
Stella d’Oro
”. All’inizio di via
Cavour, dopo la loggia, si nota l’insegna del negozio di Giuseppe De Carli “
Ferramenta-
Oreficeria-Cambia Valute
”. In piedi, alla sommita della scaletta che porta alla loggia s’in-
travede, a fatica, la Guardia Urbana Giovanni Ellero, detto “
Moschetòn
”.
Un gruppo d’Ufficiali
austriaci pasteggia,
il 5 dicembre 1917,
in una sala di Palaz-
zo Groppello.
Molte case della
borghesia furono
requisite dagli au-
stro-tedeschi.
Va detto che gli
austriaci furono
seguiti da uno stuolo
di Frau e Fraulein,
che venivano defini-
te dai tedeschi:
“Feldmatratzen”,
cioè “Materassi da
campo”!
Chissà perché?
La guerra è finita! In paese si festeggia l’arrivo delle nuove campane (siamo nel
1921 )e il ritorno dei prigionieri. Fra le campane sottratte dagli occupanti ci fu quella
detta “Dante”, del 1423. Trascinata fino al deposito di Piovega, reca ancora le ferite.