16
continua dalla pagina precedente
ni su attitudini e laboriosità delle “nuvices”), con il personale regalo di
nozze consistente in una macchina da cucire Singer.
Fece elargizioni alle scuole di Pielungo, San Francesco, Chiamp e Ca-
siacco, preoccupato per l’avvenire dei ragazzi che le frequentava-
no:…”
parcè che no vuei che chescj fantats ai partisse pal mont salams
e ai torni muset
”.
Volle ancora, con tutte le sue forze che i paesi della sua valle fossero
collegati alla pianura con una strada come le tante che aveva eseguito
per altre genti. Dopo faticosi tentativi con le amministrazioni dei vari co-
muni interessati (favorevole Vito d’Asio – negativi Clauzetto e Forgaria)
decise d’intraprendere i lavori assumendosi l’onere di tre quarti delle
spese vive, mentre la mano d’opera sarebbe stata prestata dalla popo-
lazione delle località servite dalla strada ricorrendo all’antica usanza del-
la “obbligatorie”, un’antica istituzione che prevedeva l’impegno equa-
mente distribuito tra le famiglie in proporzione alle loro capacità retribu-
tive (maschi abili e capifamiglia) ed economiche (bestie da soma e mac-
chinari).
L’opera venne a costare, al suo ideatore, complessivamente 595.000
lire e quando lo Stato rifuse la quota di sua spettanza – 150.000 lire – il
Ceconi ne fece donazione alle scuole di cui abbiamo già detto
Altra caratteristica del Ceconi era una ingenua ambizione. La strada in
questione, lunga quasi 11 chilometri, fu inaugurata il 14 novembre 1891
ed il Ceconi, desiderando convertire il titolo nobiliare austriaco in “Conte
del Regno Italiano”, volle dedicarla alla regnante dell’epoca, la Regina
Margherita.
Come auspicato dall’interessato, arrivò la desiderata conversione del
titolo ed ecco che Giacomo Ceconi divenne “Conte di Montececon”. Ma
un vero conte deve sempre avere un suo castello, come ben sappiamo,
ed ecco in val Nespolaria, sull’area della vecchia casa di famiglia, venne
realizzato un castello vero e proprio.
Una costruzione discutibile, si potrebbe dire quasi pacchiana, ma ricca
di quadri e pitture rievocative del nostro Risorgimento, a testimoniare
una grande ricchezza d’interessi e la vastità d’orizzonti, anche culturali,
d’un uomo eccezionale, non solo rivolto al dovere ed al lavoro.
Ceconi volle raffigurare sulla facciata del castello l’immagine di George
Stephenson, l’inventore della locomotiva a vapore, quasi a testimoniare
la sua riconoscenza verso l’ispiratore delle opere ferroviarie che aveva-
no fatto la sua fortuna.
Giacomo Ceconi morì a Udine nel luglio del 1910 lasciando una fortuna
favolosa per quei tempi, valutata sommariamente circa 14 milioni di lire.
Il ragazzo partito semianalfabeta da Pielungo è oggi ricordato, a Udine,
nell’istituto Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato “Giacomo
Ceconi”, a testimoniare il valore da lui attribuito all’educazione ed alla
formazione dei giovani.
E’ da rammentare a tutti che l’efficienza e l’onesta possono sempre co-
esistere. Romeo Como
(
spunti tratti da “ Il Barbacian” n°12 - 09
).
-----o0o-----
I prodigi tecnici dei nostri tempi
L’articolo sopra ben esposto da Romeo Como mette in mostra uno dei
tanti personaggi che hanno esportato in giro per il mondo tecnici seri e
preparati, tipo la ditta di costruzione dei due fratelli friulani vicino a San
Daniele del Friuli, che sta finendo di risistemare il “
Trade World Center
”,
di New York, polverizzato dall’attentato dell’ 11 settembre di qualche
anno fa, scelta fra centinaia di aziende prestigiose, di tutto il mondo.
Ma, potrebbe dire qualcuno iscritto alla categoria dei gufi, si tratta di co-
se sporadiche, che accadono solo all’estero, mentre nel nostro Paese
tutto va a rotoli e nulla funziona. Quel gufo ha torto, cari signori.
Potremmo portare centinaia di esempi di attività che funzionano al me-
glio, in Italia, ma il caso apparso su un quotidiano qualche giorno fa, ha
dell’incredibile per non dire fantascientifico. Ecco due foto da osservare
con attenzione, qui sotto.
Se osserviamo bene l’immagine vediamo rappresentata una grande na-
ve della MSC Crociere. Una di quelle città naviganti che portano sul ma-
ri migliaia di turisti, sistemati in cabine, su sei, sette ponti. Una città gal-
leggiante, insomma, come la famosa nave dell’Isola del Giglio.
Ebbene, se guardiamo bene, verso la sinistra dello scafo, posto in posi-
zione di riposo in un bacino di carenaggio, appare evidente, da una fes-
sura ben visibile, che la nave è stata divisa… in due! Strano, vero?
In verità risulta meno strano se diamo un’occhiata alla seconda foto che
riportiamo qui sotto e che chiarisce l’arcano.
L’immagine ci mostra la stessa nave vista dalla parte di tribordo, verso
la poppa; la nave da crociera è parzialmente coperta da un “qualcosa”
di colore più scuro, disposto vicino alla nave stessa. Ma cos’è?
Cos’è’? Ma è un prodigio della capacità lavorativa italiana.
Il fatto è che, volendo aumentare il numero di cabine disponibili e quindi
aumentare la capacità ricettiva, con conseguente beneficio economico,
è stato deciso di… “ALLUNGARE” la nave di 24 metri!
In poche parole: la nave è stata “segata” in due, a parte è stata costruita
una sezione lunga 24 metri e larga ed alta come la nave (quella a sini-
stra). Poi è stata fatta scivolare in avanti la prua dalla nave, su rotaie, e
nel varco venutosi a creare, si è “INFILATA” la sezione in questione!
Il tutto è stato accostato a dovere, incollato, o cucito col fil di ferro o sal-
dato a dovere. Un sandwich marittimo insomma. Il tutto è stato eseguito
in 12 settimane nelle Officine Fincantieri di Palermo. Complimenti!
Si, ma ci viaggerebbe il nostro Paolino Muner? Ahimè ho seri dubbi!
___________________________La V
ô
s dal Fogolâr____________________________________________________________________________________________________________________________________