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In uno dei numeri scorsi, la signora Locatelli aveva prodotto un bell’arti-

colo sulle oche, che nel suo paese: Morsano al Tagliamento, ricordava

costituire una fonte di ricchezza per la popolazione, che le allevava in

buon numero. Ancora oggi c’è la sagra delle oche.

Mi piace tornare sull’argomento perché nel frattempo mi sono passate

per le mani tre belle litografie antiche che evidenziano altrettanti mo-

menti di quella che era una pratica attuata da tutti gli allevatori di questo

animale: l’ingrassatura, che era praticata da una particolare categoria di

artigiani-contadini: gli

ingrassatori

.

Come ben noto, nella storia dell’attività agricola dell’uomo, l’allevamen-

to dell’oca e l’uso dei suoi prodotti si perde nella notte dei tempi. Non

solo: è parimente nota l’eroica impresa di questo animale pennuto a

difesa dell’Urbe Capitolina, minacciata dai Galli.

D’altra parte si pensa che già a quei tempi, l’agro di Aquileia si propo-

nesse come uno di quei luoghi ideali per l’allevamento delle oche, tanto

è vero che lo storico Strabone ricorda, in uno dei suoi scritti, come i lo-

cali guardiani-ingrassatori di oche fossero richiesti dalla stessa Roma

per la loro bravura professionale.

Eccolo l’ingrassatore all’opera: seduto, tiene tra le gambe un’oca che

mantiene sollevata per impedire che le sue zampe possano fra presa a

terra e tentare la fuga. Nel becco le è stato “ficcato”, immaginiamo in

modo alquanto energico, un imbuto, nel quale l’operatore infila dei grani

di mais che prende dalla bacinella accanto e che “caccia giù con ener-

gia” nel povero gargarozzo dell’animale.

Senza soluzione di continuità, nel corso dei secoli, nella pianura friulana

l’oca fu allevata, ingozzata come detto e apprezzata per: la carne, il fe-

gato, il grasso e la sua piuma, tutti prodotti che assunsero un ruolo mol-

to importante nell’economia domestica di ricchi e meno ricchi.

Da un punto di vista gastronomico gioverà ricordare che le carni di que-

sto palmipede offrivano la materia prima per succulenti arrosti ricordati

spesso con grande… entusiasmo nei pranzi delle corti medioevali e di

cui si parla con dovizia di particolari nei ricettari del XVIII secolo delle

famiglie nobili, come piatto tradizionale di San Martino, che vedeva il

suo massimo nel superbo gulash d’oca.

Tra i vari prodotti

tradizionali ottenuti

con la carne d’oca il

più tipico è il “Sala-

me d’oca, che ven-

ne anche utilizzato

nel Ghetto di Vene-

zia, nel XV secolo,

come alternativa al

salame di suino, ani-

male vietato dalla religione ebraica. Al salame di pura oca, nel corso

dei secoli,

nelle campagne friulane si venne ad affiancare il “

Salame misto d’oca

”,

con metà carne d’oca e metà di maiale.

Ma torniamo, un momento indietro, per completare la pratica dell’in-

grassamento. Ogni tanto, ovviamente bisogcava far bere l’oca per evi-

tare il soffocamento, che avrebbe significato perdita di peso e mancato

guadagno.

Nel magnifico di-

segno qui a lato

vediamo i due in-

grassatori che ar-

mati di mestoli e

bacinella d’acqua,

dopo avere mezzo

soffocato il palmi-

pede lo “annega-

no”, riversando nel

capace

imbuto

gran quantità d’ac-

qua. Si vedono i

due artigiani por-

tare vistosi grem-

biuli da lavoro e

zoccoli ai piedi.

Evidentemente le

oche non gradiva-

no troppo “l’abbe-

verata” e sparge-

vano acqua do-

vunque, attorno.

Una graziosa va-

riante ci viene in

dicata dal disegno che segue, dove si vedono i due ingrassatori che,

dopo aver riempito

la loro bocca di li-

quido tratto dalla

bacinella, lo soffia-

no con decisione

nel becco aperto

della povera oca.

Un dubbio, in verità,

mi assale: che il li-

quido nella bacinel-

la sia veramente ac-

qua e non Tokai o

grappa, che vengo-

no soffiati a metà

nel becco, tratte-

nendo il resto? Ma!

Da ricordare, anco-

ra, tra i derivati del-

lì’oca: il “

Prosciutti-

no crudo d’oca

” che

già veniva prodotto

a San Daniele nel

1400 e i prodotti af-

fumicati: “

Cotto d’o-

ca

”, il “

Petto d’oca

”,

lo “

Speck d’oca

” e

la “

Porcaloca

”.

Quest’ultimo prodotto in particolare non vuole, sia chiaro, essere un

offesa al povero palmipede che ha già

subito tanto.

La cosiddetta “

Porcaloca

” è preparata utiliz-

zando l’oca intera, decisamente disossata,

farcita con un bel filetto di maiale previa-

mente salato a dovere, cucita a mano, le-

gata e cotta in forno per non meno di 10 ore

e quindi sottoposta a leggera affumicatura.

Cari amici: porca l’oca, guarda come sono

cambiati i tempi. Oggi nessuno fa più l’in-

grassatore, ma sono veramente tanti che

fanno gli… ingrassati!

____________________________________________________________________________________________________________________________La Vos dal Fogolâr____________________________________

Oche, fortissimamente oche, vicine a noi

, di Ro. Ro.

I guardiani-ingrassatori di oche: un’attività antica come la vecchia Roma