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Facciamo la festa al ………

Vi descrivo un piccolo quadretto: un paesino che aveva per cornice i

boschi e le montagne della Carnia, che in autunno metteva il luce la

meraviglia dei colori che lentamente si spegnavano, nello sfarfallio delle

foglie che se ne andavano via col vento ed ecco.

Il paese, pigro e sonnolento, si addormentava sotto la prima candida co-

perta che all’epoca si presentava puntuale. Il quadretto aveva anche

l’audio, in autunno - da più parti - si sentiva lo stridente concerto delle

seghe circolari mentre riducevano in pezzi la legna, che in tutte le case

doveva ardere durante il lungo inverno.

A dicembre cambiava la musica: a turno da ogni casa arrivava, al matti-

no presto, il lancinante ultimo segnale del maiale che, giunto a fine car-

riera sarebbe stato ben accolto nelle cantine di ogni famiglia sotto forma

di salami, salsicce, pancette, lardo e qualcosa d’altro (del maiale non si

butta via niente).

Le famiglie poco numerose si alleavano, dividendosi a metà o anche un

terzo, le spese e gli introiti dell’animale, a seconda delle esigenze e del-

le possibilità.

Tuttavia, se il paese si addormentava, c’era sempre qualche spirito libe-

ro che, pieno di inventiva e di brio, non si rassegnava ad andare in le-

targo, ma trovava il modo per movimentare e rallegrare la vita. Due

personaggi, specialisti nel campo senza ombra di dubbio, erano mio

padre ed il suo compare Leli (Uguale Valerio) amici da sempre.

L’occasione per ravvivare la monotonia dell’inverno, occasione più che

invitante, assolutamente da non perdere, si presentò quando mia madre

chiese ai tre esperti del paese, macellai o comunque praticoni, quando

si sarebbe potuto fare la festa al maiale.

Questi risposero: ”senz’altro, però bisogna aspettare abbiamo impegni

già presi”. Bisogna dire che il compare Leli era pratico nel lavorare le

parti del maiale per aver spesso collaborato con un suo amico macella-

io; così i due compari presero l’occasione al volo: perché aspettare pos-

siamo fare noi tranquillamente, non ci sono problemi.

L’obiettivo dei due soci era, chiaramente, l’opportunità di passare una

giornata in allegria e, soprattutto in compagnia, datosi che della compa-

gnia, avrebbero fatto parte anche i fiaschi di vino e l’immancabile botti-

glia di grappa, tenuti da parte proprio per la giornata in cui si sarebbe

fatta la festa.

Era questo il corredo indispensabile di una usanza consolidata ed ap-

prezzata da tutti gli operatori del settore. Mia madre ad ogni buon conto

prese informazioni in proprio e fu rassicurata: effettivamente Leli era

pratico. Così, seppur con qualche perplessità, dette il benestare.

Di fatto il compare era sì pratico nel lavorare le parti del maiale, ma

quando queste erano sul tavolo, forse a tutti era sfuggito un particolare,

condizione essenziale, prima di essere portato sul tavolo di lavorazione,

era che il maiale doveva… essere ucciso.

La giornata tutta speciale indicata come: “

far la festa al maiale

” era

attesa con ansia e quella mattina si respirava l’atmosfera delle grandi

occasioni. Io avrò avuto, credo, un’età intorno ai sei, sette anni, e come

tutti mi svegliai prestissimo. Nell’orto crepitava allegro il fuoco che dove-

va far bollire l’acqua che sarebbe poi servita per togliere i peli alla be-

stia.

Eccitato ed iperattivo, io ero presente ovunque anche quando i due

compari aprirono la porta della porcilaia e si trovarono, per la prima vol-

ta, davanti al protagonista della giornata.

Si guardarono perplessi e preoccupati, mi pareva di leggere nei loro

pensieri: abbiamo fatto i conti senza l’oste. E l’oste era un bell’animale,

come si seppe alla fine di oltre centotrenta chili, che subito apparve per

niente collaborativo, anzi fece sentire un minaccioso grugnito per quella

sveglia fuori dal consueto orario.

La prima mossa dei due soci fu quella di chiamare in aiuto Bepi, vicino

di casa; pensarono: in tre non ci saranno problemi. Viceversa i problemi

c’erano eccome, dopo vari tentativi prima di riuscire a rovesciarlo sulla

panca, li vidi a turno finire per terra.

Finalmente costretto sulla panca, il compare Leli gli conficcò un coltello

nel collo, ma come dissero in seguito, non era il punto giusto e neppure

il coltello adatto. Il macellaio improvvisato, visto il risultato, e avendo

sottomano un altro coltello conficcò pure quello.

A questo punto il maiale decise di produrre il massimo sforzo, la panca

si rovesciò e la bestia sanguinante con due coltelli conficcati nel collo,

prese la via del paese. Mia madre, con le mani sulla testa strillando, si

mise a corrergli dietro e subito il seguito si ingrandì.

Pensandoci adesso, era una situazione farsesca, pareva una sagra di

paese quella processione festante. Mi trovai vicino a tanti amici che cor-

revano e gridavano contenti di quell’inaspettato diversivo, io però non

riuscivo a condividere quell’allegria, vedevo la preoccupazione di mia

madre e soprattutto vedevo allontanarsi quella che sapevo una preziosa

risorsa, il mio pensiero era: cosa metteremo nei piatti quest’inverno?

Giunto quasi alla fine del paese, il fuggitivo, dissanguato, cessò le ostili-

tà. E a questo punto, si vide operare la solidarietà tipica dei paesi dove

le gioie e le disgrazie di una famiglia sono quelli di tutte le famiglie.

Dalla casa più vicina uscì una slitta tutti dettero una mano, fu caricato e

riportato a casa. Il paese era piccolo (adesso è ancora più piccolo) in un

attimo tutti erano a conoscenza del fatto.

Appena finito l’incarico del giorno, non uno, ma tutti e tre i macellai di

ruolo la sera erano al lavoro a casa nostra.

Qui finisce la mia cronaca perché crollai, la giornata era stata troppo

stressante; presumo che mia madre mi abbia portato a letto.

All’indomani, appena svegliato, prima ancora di vestirmi corsi di sotto,

entrai in cantina, guardai in alto e, incredibile: il cielo era una meraviglia.

Non si vedeva il soffitto, ma teorie di salami, luganeghe, cotechini, pan-

cette, lardi si offrivano alla vista ed… all’olfatto.

A quella vista tirai un grande sospiro di sollievo e l’avvenire mi apparve

radioso.

E Guglielmo Marconi, credetemi, non c’entrava proprio per niente!

Gianni D.F.

Una serata particolare

Come si può vedere dal manifestino qui sopra visibile, la sera del 17

ottobre, in sede, verrà presentato un romanzo di Michael Sfaradi, dal

titolo “Mosaico Mortale”. Un mosaico assassino? O che altro.

Sicuramente chi è stato alla Scuola del Mosaico non potrà mancare!

___________________________La V

ô

s dal Fogolâr____________________________________________________________________________________________________________________________________

Facciamo la festa al…

, di Gianni Del Fabbro

Cronaca di tre quasi… macellai e di un porcello sacrificale!